Al pluralismo noi preferiamo la carità

 

Di don Giuseppe Bentivoglio


 

La nostra rivista di luglio, agosto n.4, riportava un dossier sui nostri rapporti con Caritas Svizzera, sollevando una serie di problemi che hanno avuto eco sulla stampa quotidiana con interventi di Giorgio Zappa ed altri, soprattutto sul rapporto fra Caritas diocesana e parrocchie.

Fulvio Caccia, presidente di Caritas Svizzera, è invece sceso in campo, sempre sulla stampa quotidiana, Giornale del Popolo del 17 novembre, per riprendere le questioni di fondo sollevate da noi nella rivista già citata. In particolare il politico ticinese contestava a Caritas Ticino l’assenza di pluralismo, un valore essenziale della cultura contemporanea. A lui rispondeva sempre con lo stesso strumento don Giuseppe Bentivoglio, presidente di Caritas Ticino.

Ci è sembrato opportuno continuare il dibattito dalle pagine della nostra rivista, riportando l’articolo del nostro presidente, al fine di far chiarezza e nella speranza che il dialogo si mantenga su livelli capaci di stimolare la crescita di tutti verso una sempre maggiore consapevolezza della nostra vocazione cristiana alla Carità, che, come si vede anche dal seguito, è ben più complessa dell’idea di elemosina che comunemente se ne ha.

Nell’articolo firmato da Fulvio Caccia, viene rivolto a Caritas Ticino il rimprovero di non accettare il pluralismo, che caratterizza non solo la società civile, ma anche la Chiesa (diocesana e universale), di non rispettare scelte diverse dalle sue e di avere nella sua organizzazione interna responsabili, che hanno tutti la stessa provenienza ecclesiale.

Mi permetto di notare a tal proposito quanto segue:

 

La diversità, un arricchimento

1. Caritas Ticino non solo è consapevole delle differenze di storia e di sensibilità che esistono in ambito ecclesiale, ma rispetta queste differenze, anche se non sempre di esse condivide i metodi e i contenuti. Questo rispetto è tale da attendersi nei suoi confronti la stessa cosa. Voglio dire che le differenze, che pur ci sono, tra Caritas Svizzera e Caritas Ticino sono assolutamente legittime e, checché se ne dica, sono state occasione per aprire un dialogo non sempre facile, ma sempre voluto e attuato. Se Caritas Ticino ha la sua fisionomia, tra l’altro sempre condivisa dal Vescovo, la cosa non può essere motivo di scandalo o rammarico, ma al contrario motivo di arricchimento della compagine ecclesiale.

 

2. I responsabili di Caritas Ticino provengono da esperienza ecclesiali diverse, da Parrocchie e Movimenti, in ciò riproducendo la realtà diocesana. Va comunque detto che la scelta dei responsabili non ha un intento rappresentativo, col pericolo di scivolare in una logica burocratica, ma semplicemente risponde alla preoccupazione che le persone impegnate a Caritas abbiano una sensibilità ecclesiale e le necessarie capacità inerenti al compito che debbono svolgere. Se una persona, senza alcun pregiudizio (suo o di altri), conoscesse i responsabili di Caritas Ticino, avrebbe di quanto detto una conferma.

Colgo l’occasione per fare tre osservazioni:

 

 

Pluralismo, ecclesialmente rischioso

1. Parlare di pluralismo appare ecclesialmente rischioso e fonte di equivoci: in questo ambito meglio sarebbe parlare di carità. Per quanto so nei documenti del Magistero la parola “pluralismo” è pochissimo usata. Essa non esiste nel Catechismo della Chiesa cattolica, mentre nei documenti del Vaticano II la troviamo due volte e precisamente in Gravissimum Educationis, dove viene detto che al pluralismo culturale deve corrispondere un pluralismo educativo. Nei successivi  documenti della S. Sede si parla di pluralismo per prendere positivamente atto che esso esiste nella società civile (v. la Populorum Progressio al n. 29), ma in ambito ecclesiale si preferisce la parola “pluralità” alla parola “pluralismo”. Quest’ultimo viene  considerato inammissibile a livello dottrinale ed etico (v. Commissione teologica internazionale, 10.12.1972). In effetti si tratta di una parola che descrive un aspetto della società civile e suggerisce il comportamento da avere per chi ogni giorno è chiamato a confrontarsi con opinioni e opzioni diverse dalle sue. Nella società civile le diversità coesistono e sono un arricchimento reciproco. Penso che chiunque si renda conto di questo e non abbia alcuna difficoltà ad accettarlo. In ambito ecclesiale, però, il pluralismo diventa equivoco. Al suo posto troviamo la carità.

La coscienza cristiana riconosce, infatti, che rispettare ogni legittima diversità è un aspetto della carità. Leggiamo, infatti, nel Catechismo (791): “L’unità del corpo non elimina la diversità delle membra: «Nell’edificazione del Corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi». L’unità del Corpo mistico genera e stimola tra i fedeli la carità: «E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra» . Infine, l’unità del Corpo mistico vince tutte le divisioni umane: «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,27-28). La carità dà al pluralismo una diversa collocazione e gli attribuisce un ruolo diverso.

Enfasi posta sull’unità

Nella Chiesa l’enfasi non è posta sulle diversità, ma sull’unità, che essendo – per parafrasare una nota affermazione – sinfonica, accoglie e valorizza le diversità. Esse sono considerate non una rivendicazione orgogliosa, che tende a prendere le distanza dal Corpo, ma doni dello Spirito, che trovano la loro giustificazione nell’essere funzionali alla edificazione dell’unica Chiesa. Il problema non è partire dalle differenze, per poi giungere all’unità, mediante strategie, compromessi e mediazioni “politiche”  (così come avviene nella società civile), ma è partire dall’unità, dono a noi fatto in Cristo, e quindi guardare alla differenze come aspetti diversi di questa unità che supera, senza annullare, ogni diversità le quali diventano così modi diversi di vivere e testimoniare l’unica fede. In altre parole: il pluralismo privilegia la diversità, la carità al contrario l’unità ed è in rapporto ad essa che le differenze sono legittime. Se non capiamo questo, facciamo ancora una volta l’errore di introdurre nella tradizione e nella coscienza cristiana elementi desunti da ideologie mondane, che vanno bene finché restano nell’ambito dal quale sono state generate, ma che in ambito ecclesiale esigono un originale ripensamento.

 

Il problema è che Caritas Ticino non è ascoltata

2. Ho l’impressione che il dissenso sulle scelte di Caritas Ticino e sull’immagine, che si è data, dipende in taluni casi da un insufficiente ascolto e attenzione nei suoi confronti. Se il dissenso, da considerarsi sempre una conclusione dolorosa e provvisoria (perché è doveroso che ognuno cerchi di superare il dissenso) di un rapporto, non viene preceduto da una volontà cordiale di capire e di valorizzare il positivo, allora diventa legittimo pensare che abbia preso il sopravvento un pregiudizio, se non una vera e propria animosità verso questa o quella persona. Va da sé che con la carità, il pregiudizio e l’animosità non hanno nulla a che fare.

Ora Caritas Ticino ha fatto scelte, che non corrispondono all’immagine tradizionale di Caritas. Secondo questa immagine (del tutto legittima a suo tempo) l’attività di Caritas dovrebbe quasi totalmente ridursi a “fare elemosina”, rispondendo a bisogni individuali di tipo per lo più materiale. Questi interventi continuano ad essere fatti, ma le circostanze storiche, nelle quali viviamo, esigono modalità nuove per rispondere a bisogni materiali, che sono nuovi, e a bisogni spirituali, che non possiamo eludere. Per questo motivo sono state pensate sia la Rivista che la TV, le quali, senza pesare economicamente sul bilancio di Caritas, quindi senza sottrarre risorse finanziarie alle attività più tradizionali, intendono rispondere alla necessità di avere uno strumento che intervenga con un giudizio cristiano su fatti che accadono e problemi che investono i singoli e sulla società. Nei tempi nostri il servizio della verità, ovvero il servizio di calare il Vangelo nelle circostanze e nelle contingenze, perché possa aiutare la persona a meglio orientarsi nella vita, è un compito irrinunciabile da soddisfare con tenacia, nella consapevolezza che la verità ci è data perché venga annunciata, anche se tale annuncio non è esente da errori e da approssimazioni.

 

L’urgenza di mantenere un’identità cristiana

Nei nostri tempi è urgente dare all’opinione pubblica una corretta immagine di Caritas, usando mezzi adeguati. Se la comunicazione è inadeguata, l’interesse per Caritas e per l’opera, che essa svolge, diminuisce fino a dissolvere, anche economicamente, la stessa Caritas. In questo modo essa per vivere, deve rivolgersi all’Ente pubblico, diventando così una sua articolazione. Se poi a questa motivo aggiungiamo, in certi casi, un abbandono, o per lo meno un indebolimento, della concezione cristiana della carità a vantaggio di una mentalità mondana, che non conosce la carità ma l’assistenza sociale, il risultato sarà tra qualche anno questo: verrà meno ogni articolata espressione della carità e quindi ogni immagine di essa e i cristiani, ormai omologati, si dedicheranno a «fare il bene» come il mondo vuole e conformemente alle sue misure.